Secondo il dodicesimo rapporto annuale dell’associazione Antigone, la situazione del sistema penitenziario, riguardo l’affollamento delle carceri, stenta a migliorare.

Questa problematica negli ultimi anni sta avendo un notevole impatto e, a tutt’oggi, difficilmente si riescono a porre rimedi efficaci. Il fenomeno ha origine nell’antichità e, spesso, viene quasi esclusivamente affrontato come una condizione fisiologica degli istituti detentivi, descrivendo invece una distorsione del funzionamento degli stessi. Proprio per questa ragione, oggi, si parla di “fisiologica patologia”.

Il nostro Paese, ad esempio, risulta essere il terzo per affollamento e mostra dei dati preoccupanti; basti pensare che sono quasi 4000 i detenuti senza un posto letto, mentre altre 9000 vivono reclusi in meno di 4 metri quadrati, dimensioni che non rispettano nemmeno gli standard minimi previsti dal Consiglio d’Europa.

A tutt’oggi il tasso di sovraffollamento degli istituti penitenziari ha raggiunto il 108% e vengono spesi oltre 140€ al giorno per ogni detenuto, un costo elevatissimo se paragonato a quello di un detenuto inglese (109€), di uno francese (100€), o di uno spagnolo (inferiore a 53€).

Per quanto concerne l’analisi delle cause del sovraffollamento, la condizione dell’edilizia carceraria rappresenta sicuramente uno dei fattori più rilevanti.

Come già accennato in un precedente articolo, le strutture adibite ad ospitare i detenuti sono, ormai, quasi del tutto inadeguate a causa degli spazi pressoché limitati e dello scheletro architettonico. Questo fenomeno è in crescita e porta i detenuti a ritrovarsi deprivati del proprio spazio vitale, con conseguenti gravi ripercussioni psicologiche.

Le privazioni cui sono sottoposti i reclusi, però, non si limitano a questo. Ormai, le celle non sono più sufficientemente luminose ed areate e spesso la collocazione dei servizi igienici non consente un utilizzo intimo e dignitoso degli stessi. Passare, quindi, da una condizione di totale libertà alla condivisione estrema di spazi angusti è, senza dubbio, fonte di grande disorientamento per i detenuti. Con l’ingresso nell’istituto penitenziario decade il ruolo sociale dell’individuo che viene privato del proprio spazio personale, della propria capacità di scelta autonoma e del quotidiano contatto con gli altri significanti (famiglia, amici). Il detenuto si trova a vivere rapporti sociali imposti, perde ogni riservatezza ed intimità e diventa totalmente dipendente dall’Istituzione.

La diretta conseguenza di questo fenomeno, dunque, è una forte sensazione di frustrazione e depersonalizzazione, dovuta soprattutto alle aspettative e l’impotenza riguardo la proprio condizione, pertanto il detenuto si rifugia nel desiderio, mai soddisfatto, che le proprie esigenze vengano prese in considerazione.

Secondo Antigone, in Italia la spiegazione del sovraffollamento delle carceri va ricercata nell’incremento dei “presunti innocenti” in fase di primo giudizio.

Questa crescita è, dunque, lo specchio dell’operato delle forze di Polizia e della magistratura che risulta sempre più orientato a ricorrere alla detenzione rispetto agli anni precedenti. La custodia cautelare in carcere, intesa come extrema ratio, è divenuta la principale, se non l’unica, misura cautelativa da applicare per tutti coloro in attesa di giudizio. Questo provvedimento rende complicato il reinserimento sociale del detenuto e solo in alcuni casi implica una vera rieducazione del soggetto stesso.

A ciò si aggiunge il fatto che la rieducazione del recluso è, ormai, percepita come un evento virtuale. Questo è il risultato della sfiducia, da parte della società e delle istituzioni, nelle reali possibilità di reinserimento sociale che si traduce nella concezione che la detenzione abbia come unica funzione quella della segregazione.

Per porre rimedio a questa emergenza, sarebbe opportuno si ridurre l’afflusso nelle carceri, rivedendo alcune tipologie di reato, sia strutturare i penitenziari con programmi mirati a rieducare il detenuto. Lo strumento più forte ed incisivo per garantire la rieducazione del detenuto sembra restare il lavoro: non a caso i risultati ci mostrano come il tasso di recidiva passa dal 70% al 10% nei confronti dei detenuti che possono svolgere un’attività lavorativa durante l’espiazione della pena.

Ricerche condotte in alcuni penitenziari, hanno mostrato come il lavoro, retribuito e volto al reinserimento sociale, cambia l’espressione del volto del detenuto, il quale diventa meno rancoroso poiché si sente nuovamente utile in qualche modo ed è come se, per lui, cominciasse una nuova vita. Lavorare significa, per molti, capire il valore delle norme e la stigmatizzazione delle condotte criminali compiute, pertanto permetterebbe ai detenuti di riscattare la propria identità e immagine disintegrata sia dal reato che dalla condanna e migliorare, così, le loro condizioni di vita dentro e fuori gli istituti penitenziari.

Fonti

Osservatorio INCA CGIL per le Politiche Sociali in Europa. http://www.osservatorioinca.org

Archivio Penale. L’emergenza del sistema carcerario italiano. http://www.archiviopenale.it

Associazione Antigone. www.associazioneantigone.it

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Psicologo esperto in Sessuologia clinica

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