Viste le recenti questioni riguardo le condizioni in cui versano le carceri mondiali e il problema del sovraffollamento, va da sé chiedersi se sia necessario dare vita a carceri nuove o nuove carceri.

Quello che propone il nuovo modello europeo è un sistema di detenzione che non sia fondato sulla pena, bensì sulla riabilitazione e il reinserimento sociale. Questo perché l’obiettivo prefissato non è solo quello di una detenzione fine a se stessa e figlia del reato commesso, ma anche quello di garantire condizioni di rispetto umano e di identità sociale ad ogni detenuto, in linea con quelli che sono i valori della persona e dei diritti umani.

L’idea è quella di discostarsi dal concetto di carcere “punitivo” che, visti gli scarsi risultati, poco ha raccolto in termini sia di rieducazione che di reinserimento sociale. Proprio per questo, in diverse parti del continente, sono sorte alcune strutture del tutto nuove, non solo per il tipo di ambienti costruiti, ma anche per le condizioni di vita offerte al detenuto. Come spiega la BBC, nel mondo esistono circa 9 milioni di detenuti e solo un’esigua percentuale è stata inserita in istituti che offrono una vera e propria rieducazione, propedeutica ad un reinserimento positivo nella società.

Come per altre aree di intervento e di studio, la Scandinavia si è mostrata ancora una volta pionieristica e all’avanguardia per quanto riguarda il ripensare l’idea di carcere. I risultati sono un nuovo modello di intervento e delle strutture di detenzione completamente in linea con quello che è il modello europeo.

Il sistema penitenziario Scandinavo si fonda su quella che è definita la “Filosofia del Trattamento”, ed enfatizza la sicurezza dinamica, un modello volto a pensare le relazioni interpersonali tra il personale e i detenuti come il fattore cardine per garantire la sicurezza all’interno del carcere.

Uno studio pubblicato dal sito Dropout Prevention ha messo a confronto il sistema detentivo statunitense con quello dei paesi scandinavi, evidenziando come questi ultimi giungano con più efficacia all’obiettivo di ridurre il tasso di recidiva. Un esempio a sostegno di ciò ci viene dato dalla Norvegia, che ha deciso di implementare il sistema carcerario svedese, vedendo diminuire il proprio numero di detenuti da 200 (nel 1950) a 65 (nel 2004) per ogni 100.000 abitanti.

In particolare, in Svezia lo Stato ha dato vita ad una serie di leggi in materia penale e penitenziaria che offrono ai condannati l’opportunità di astenersi dalla recidiva, per intraprendere la strada della dignità e del recupero sociale. Questo perché, secondo questo sistema, la perdita della libertà è già di per sé un intervento afflittivo abbastanza significativo da non richiedere alcuna aggravante per rafforzarne il valore intimidatorio.

Il detenuto, quindi, deve essere sì trattato con fermezza, ma anche con attenzione e con tutta la considerazione dovuta alla sua persona. Pertanto verranno proposte delle pene a partire da una ammenda basata sui tassi giornalieri, fino ad arrivare alla sorveglianza intensiva.

Questo trattamento è considerato di tipo “progressivo” poiché, essendo meno “afflittivo”, può arrivare addirittura a scomparire nei casi in cui il detenuto mostri chiari segni di miglioramento, dimostrando di potersi reinserire in società.

In Svezia e Norvegia esistono, dunque, sia istituti chiusi che istituti aperti. I primi sono costruzioni edilizie munite di difese sicure contro l’evasione; i secondi, invece, non sono nemmeno circondati da mura o da altre difese, non hanno sbarre alle finestre e dispongono di ampi spazi. Nelle istituzioni aperte è assente ogni tipo di autoritarismo e viene lasciato ampio margine di libertà e iniziativa al detenuto, che può ricevere visite da parenti e persone amiche.

L’accesso ad un istituto aperto piuttosto che ad uno chiuso è stabilito dal giudice al termine della sentenza, per cui se la condanna prevede una pena detentiva superiore ai tre mesi, essa verrà scontata in un istituto chiuso. Sotto i tre mesi, invece, si è assegnati ad istituti aperti. Qualora un detenuto assegnato ad un sistema chiuso mostri un comportamento che dimostri un acquisito senso di responsabilità, allora potrà essere trasferito ad uno aperto.

Il detenuto oltre a svolgere attività di svago e di studio, svolge un lavoro retribuito volto sviluppare confidenza con la professione e l’autodisciplina. Il compenso viene stabilito in rapporto al valore economico del lavoro svolto. Tutte queste attività sono affiancate da un trattamento psicologico suddiviso in psicoterapia individuale (o di gruppo) e attività di counseling In questo modo il detenuto non sarà abbandonato a se stesso, poiché alle spalle ha un’organizzazione mirata al recupero di chi vuole davvero essere aiutato a tornare nella società.

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Psicologo esperto in Sessuologia clinica

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