In ambito psicologico quando si parla di “ambiente” si fa riferimento sia ad aree naturali, sia ad ambienti costruiti quali edifici o aree urbane.

È proprio in questi contesti che la società vive, si muove ed interagisce, facendo divenire l’ambiente un vero e proprio fattore critico e non una mera struttura marginale o di sfondo (Baroni, 2008). Dunque è chiaro come l’ambiente influisca, positivamente o negativamente, sulla vita e il benessere degli individui i quali, a loro volta, influenzano l’ambiente stesso in cui vivono e si interfacciano, conferendogli significati ed identità peculiari che rispecchiano la cultura, l’assetto sociale ed economico della comunità (Koger, Winter, 2010).

Recentemente, procedendo in parallelo con la Psicologia Ambientale, si sono affermate diverse teorie e proposte inerenti alle entità ecologiche. Come scrive Goleman (2009, p. 17),

“si fa un gran parlare di come aiutare il nostro pianeta cambiando ciò che facciamo: usare la bicicletta al posto dell’automobile, montare le nuove lampadine fluorescenti a risparmio energetico, riciclare le bottiglie e adottare altri facili accorgimenti”.

Attualmente la ricerca sta focalizzando l’attenzione sullo studio di nuovi procedimenti che siano in grado di innescare dei cambiamenti ecologici significativi nella vita degli individui, in modo tale da non risultare invasivi. Ne sono un esempio le analisi sui cosiddetti catalyst behaviours (comportamenti catalizzatori), promosse in Inghilterra dal DEFRA (Department for Environment, Food and Rural Affairs), che ha posto come punto di riferimento un modello classico che illustra come un certo comportamento, ad esempio il riciclo, aumenti la probabilità che un individuo ne approvi un altro simile, come ad esempio il compostaggio (Whitmarsh, O’Neill, 2010). Barr et al. (2005) hanno individuato tre gruppi distinti di azioni ecologiche che sembrano mettersi in relazione con i diversi stili di vita (caratteristiche socio-demografiche o valori): a) “decisioni di acquisto” quali, ad esempio, lo shopping, il compostaggio e il riutilizzo; b) “abitudini” come ad esempio il risparmio domestico di acqua ed energia elettrica; c) il “riciclo”.

I risultati di diverse ricerche hanno evidenziato come le persone non agiscono tutte in modo coerente e, pertanto, non sembrano sussistere motivazioni comuni legate alle diverse azioni ecologiche, infatti non sembrerebbe possibile dar vita ad una cultura della sostenibilità senza aver interiorizzato un’anima ecologica.

Quanto detto, da un punto di vista psicologico, ci offre un interessante spunto di riflessione. La promozione di una identità “green”, piuttosto che un’innata anima ecologica, potrebbe essere un valido fulcro per sviluppare un certo livello di coerenza negli atteggiamenti e nelle azioni degli individui. In questo modo l’identità si fonderebbe con la messa in atto di determinati comportamenti, mossi dall’esistenza di significati comuni (Derrick, 2006). Come ci illustrano Whitmarsh e O’Neill (2010), l’identità può agire su due diversi livelli d’intervento: a) rinforzando un comportamento ecologico specifico, come ad esempio quello del tipico riciclatore, fornendo, quindi, una spiegazione riguardo la assiduità nell’eseguire uno specifico comportamento pro-ambientale; b) stimolare, in modo generico, una serie di sotto-azioni ecologiche quali, ad esempio, l’eco-shopping, per spiegare il fenomeno dello spillover, ovvero del “traboccamento”, per cui un comportamento volto a beneficiare un determinato settore o una determinata area territoriale produrrà effetti positivi anche oltre tali ambiti.

Come spiegano diversi studi condotti da Kahneman e Tversky (2000), la mente umana sembra essere restia ad accettare alti costi e sacrifici nel presente che produrranno dei benefici lungo un continuum temporale più dilazionato, perpetuando, quindi, comportamenti anti-economici e anti-ecologici.

È proprio per promuovere nuovi comportamenti eco-compatibili che la Psicologia Ambientale ha dato il via a diverse ricerche come, per citarne alcune, Green Psychology (Psicologia Verde), Natural Psychology (Psicologia Naturale), Psychology of Environmental Global Changes (Psicologia dei Cambiamenti Ambientali Globali), le quali hanno come scopo primario quello di salvaguardare l’ambiente (Bonnes et al., 2006). Questi comportamenti pro-ambientali possono essere promossi e sviluppati sia nella sfera privata con azioni quali la raccolta differenziata o i risparmi energetici, sia nella sfera pubblica cercando di coinvolgere la comunità in attività o iniziative per salvaguardare l’ambiente quali, ad esempio, il finanziamento di associazioni ambientalistiche o il sostegno di politiche pubbliche a favore dell’ambiente (Costa, 2009).

 

Bibliografia

  • Baroni, M. R. (2008). Psicologia Ambientale. Bologna: Il Mulino.
  • Barr, S., Gilg, A. W., e Ford, N. (2005). The Household Energy Gap: Examining the Divide Between Habitual and Purchase-related Conservation Behaviours. Energy Policy, 33, 1425–1444.
  • Bonnes, M., Carrus, G., e Passafro, P. (2006). Psicologia Ambientale, Sostenibilità e Comportamenti Ecologici. Roma Carocci Editore.
  • Costa, M. (2009). Psicologia Ambientale ed Architettonica: Come l’Ambiente e l’Architettura Influenzano la Mente e il Comportamento. Roma: Franco Angeli.
  • Derrick, J. (2006). Endgame, Vol. 1: The Problem of Civilization. New York: Seven Stories Press.
  • Goleman, D. (2009). Intelligenza Ecologica. Milano: Rizzoli.
  • Kahneman, D., e Tversky A. (a cura di). (2000). Choices, Values, and Frames. Cambridge: Cambridge University Press.
  • Koger, S. M., e Winter, D. D. (2010). The Psychology of Environmental Problems: Psychology for Sustainability. New York: Psychology Press.
  • Steg, L. (2013). Manuale di Psicologia Ambientale e dei Comportamenti Ecologici. Milan: Edizioni FS,.
  • Whitmarsh, L., e O’Neill, S. (2010). Green Identity, Green Living? The Role of Pro-environmental Self-Identity in Determining Consistency Across Diverse Pro-environmental Behaviours. Journal of Environmental Psychology, 30, 305–314.
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Psicologo esperto in Sessuologia clinica