In uno dei precedenti articoli ci siamo occupati di descrivere e riflettere sui crimini ambientali commessi da quella che viene definita “Ecomafia”. Molte sono le azioni criminose messe in essere da questa organizzazione criminale, azioni che comportano ripercussioni sostanziali sul territorio e, soprattutto, sulla salute e sul benessere fisico e psicologico di tutti i cittadini. Pertanto, ci chiediamo nel presente articolo quale ruolo possa assumere lo psicologo all’interno di questo contesto così particolare e delicato, che sembra essere ormai diventato la normalità, ma che normalità poi non è.

L’Educazione Ambientale

«La crisi ecologica è una crisi dovuta al comportamento disadattivo delle persone», scrivevano Maloney e Ware già nel 1973, sottolineando come fosse importante indagare sulle motivazioni, anche psicologiche, che sono alla base dei problemi ambientali o ecologici. Gran parte di essi è infatti causata dai comportamenti umani, i quali sono accompagnati e guidati dai relativi pensieri, sentimenti, atteggiamenti e valori. Per questo motivo, da almeno tre decenni gli psicologi stanno dedicando attenzione alle questioni ecologiche attraverso numerose attività di ricerca in questo campo.

Nei documenti prodotti da UNESCO e UNECE nell’ambito del Decennio dell’educazione allo sviluppo sostenibile, l’educazione non è intesa come strumento di informazione, ma come un processo di riforma del modo di vivere e concepire l’ambiente: lo sviluppo sostenibile, se ha un senso è quello di un processo di continuo apprendimento, in cui l’umanità trova nuove maniere di convivere indefinitamente con il pianeta e tra le diverse culture e diverse classi sociali (Mayer, 2014) (http://www.asvis.it/articoli/208-873/educare-per-una-cittadinanza-globale).

Negli sviluppi più recenti dell’Educazione Ambientale, si tende a dare grande rilievo all’azione concreta nell’ambiente (naturale o costruito), confidando nella capacità di queste esperienze multisensoriali di coinvolgere le emozioni e suscitare stati affettivi in grado di aumentare la consapevolezza ambientale.

A tal fine appaiono evidentemente funzionali sia le attività di tipo creativo e ludico sia il coinvolgimento di giovani e adulti in percorsi di analisi dei fattori in gioco nelle varie questioni ambientali. In quest’ultimo caso, piuttosto che raccontare i problemi ambientali avvalendosi del supporto di esperti, si punta a far scoprire tali problemi in prima persona, anche attraverso la rivalutazione di particolari tecniche e metodi di indagine partecipata.

Inoltre, anziché discutere di problemi ambientali “lontani” dall’esperienza quotidiana delle persone, si cerca di riscoprire i contesti di vita locali e dunque più familiari, dove hanno luogo molte di quelle azioni che causano i gravi problemi ambientali a livello globale (http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/LINEE_GUIDA.pdf).

Psicologia e crisi ambientale

La necessità di un apporto psicologico alla questione forse non è mai stata considerata seriamente. La dimensione psicologica viene scavalcata da valutazioni di tipo economico, politico, e sociale. Occorre quindi ragionare sul fatto che i problemi ambientali sono prima di tutto determinati dalle credenze, dai valori e dalle motivazioni degli uomini. Si tratta dunque di una crisi etica prima ancora che ecologica; pertanto non è possibile affrontare la questione senza indagarne le determinanti psicologiche.

Widmann sottolinea il contributo che la psicologia può offrire all’analisi del problema ambientale:

– in quanto disciplina che si occupa della coscienza (poiché l’uomo rappresenta il primo agente ecologicamente devastante, capace di rendersi conto di essere tale);

– in quanto disciplina che si occupa della psicopatologia (poiché le condotte antiecologiche sono sospette di essere distruttive e autolesive, dunque patologiche);

– in quanto disciplina che studia l’evoluzione umana verso stadi di maturazione e di benessere psichico sempre più avanzati (poiché l’attuale ricerca di benessere porta talvolta a situazioni paradossali di maggiore disagio e di maggiore sofferenza) (https://books.google.it/books?id=h23TBwAAQBAJ&pg=PT8&lpg=PT8&dq=widmann+psicologia+ambientale&source=bl&ots=nQ3LbcIy2y&sig=g2nAaAiQg41jyDwf7QgIMEhTVIk&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj156PimabTAhUBAxoKHRiED4AQ6AEIUzAJ#v=onepage&q=widmann%20psicologia%20ambientale&f=false).

Affrontare il problema prendendone in considerazione la dimensione psicologica consente di centrare la riflessione sul singolo individuo riportando l’attenzione alla responsabilità personale.

Inoltre, mentre le conseguenze del danno ecologico per la nostra salute fisica sono ampiamente riconosciute e studiate, trascuriamo invece quanto la crisi ambientale incida sulla nostra salute mentale in termini di malessere psicologico. Raramente ci soffermiamo a considerare il disagio emotivo che dobbiamo pagare per aver distrutto l’equilibrio ecologico del pianeta.

Come è possibile raggiungere una vita serena e tranquilla di fronte alla minaccia della catastrofe ambientale? Possiamo tendere al benessere e alla felicità e al contempo assistere quali spettatori insensibili allo scempio e alla distruzione del nostro pianeta?

Conclusione

La situazione in cui ci troviamo è molto delicata, l’evoluzione ci ha condotti ad un punto critico. L’uomo possiede le armi per il proprio totale annientamento, il rischio di un autodistruzione è ai nostri giorni quanto mai realistica, allo stesso tempo esistono le stesse possibilità di raggiungere una condizione di assoluto benessere, un’autorealizzazione senza precedenti. Sta a noi la scelta.

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About Author

Sono nata a Roma il 15/11/1992 e ho conseguito la Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e di Comunità presso l'Università Pontificia Salesiana, dove lavoro anche come assistente. Sono una Psicologa Clinica, Esperta in Dipendenze, iscritta alla Scuola di Psicoterapia ad Approccio Strategico Breve (ISP).

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