Luci ed ombre del contesto penitenziario

L’ambiente penitenziario è tanto complesso, quanto delicato, ma regala, a chi lo sa cogliere, dettagli e sfaccettature della vita personale di ognuno.

All’interno di questo mondo spesso dimenticato e mal visto, ci sono persone che ogni giorno faticano ad essere riconosciute come tali; già dal primo ingresso si viene spogliati di qualsiasi tratto personale per poi entrare in un circuito in cui le differenze individuali sono completamente azzerate, riducendosi ad un numero di cella e ad un cartellino con un codice a barre al collo.

Le persone entrando in carcere sono denudate in tutti i sensi, anche della loro personalità; in tale ambiente gesti semplici, come dare la mano al detenuto quando entra nella stanza, assicurarsi che sia seduto su di una sedia e non su di uno sgabello traballante, dargli la possibilità di scegliere se svolgere un’attività o rifiutarla, fa sentire ancora una volta il detenuto come una “persona” non invisibile e con una dignità.

Nello stereotipo e pregiudizio sociale il carcere racchiude tutti quegli individui che devono essere “eliminati”, i cattivi, coloro che non meritano perdono e che devono pagare amaramente i reati fatti; un po’ come la legge del contrappasso Dantesca.

Tuttavia, nonostante lo scopo principale degli istituti penitenziari sia quello di “punire” il reo attraverso anni e anni di prigione definiti dalla legge in base al reato fatto, un altro obiettivo che ci s’impegna a conseguire e ad affiancare al precedente è quello “rieducativo”.

Le attività rieducative si possono classificare in tre gruppi fondamentali:

  • Istruzione e formazione
  • Attività lavorative
  • Attività culturali, ricreative e sportive
  • Qui si vuole approfondire quanto tra le mura carcerarie possa essere d’aiuto lavorare a contatto con la natura, stando all’aria aperta e sfruttando a pieno i benefici fisici e psicologici che sono legati alla manualità, al sentirsi liberi, fuori da mura che si vedono ogni giorno e al vedere realizzato dopo mesi di cure e impegno un prodotto finito.

L’ortoterapia

Un’attività educativa che comporta vantaggi riconosciuti sia fisicamente sia psicologicamente è la terapia orticolturale, un percorso che fa parte delle cosiddette terapie occupazionali, in grado di migliorare la salute fisica e mentale; il detenuto dovrà svolgere compiti come: la semina, la raccolta dei frutti, il giardinaggio e l’organizzazione dell’orto, cioè tutte attività che stimolano i cinque sensi e sviluppano capacità e competenze intrapersonali e interpersonali, alleviando stress e tensioni quotidiane dovute a diverse concause di vita.

 Da dove nasce l’ortoterapia?

Già dall’antichità il rapporto uomo-natura è stato sempre considerato positivo e portatore di beneficio spirituale e terapeutico, tuttavia è stato solo in tempi più recenti che si è presa coscienza di come sfruttare pienamente questa relazione rendendola una sorta di terapia alternativa per migliorare il benessere anche di soggetti con problematiche fisiche o psicologiche.

Questo fu già in parte realizzato a fine 800, in alcuni ospedali americani dove furono istituite delle “serre” con scopi terapeutici; nella metà del Novecento l’Università del Michigan approvò un master in Horticultural Therapy ed infine nel 1978 in Gran Bretagna, fu fondata la Società dei terapisti orticulturali.

Oggi sono resi noti i contributi ottimali che procurano le terapie a contatto con la natura e l’ambiente, tra cui anche l’ortoterapia.

In Italia da pochi anni stanno prendendo vita vari progetti in ospedali, scuole di agraria, centri di riabilitazione e per disabili e nelle carceri.

(http://www.naturanakupenda.net/1/ortoterapia_720099.html)

Quali sono i benefici dell’ortoterapia?

Lavorare a contatto con la natura negli orti-giardini può essere un modo per combattere lo stress, l’ansia, la depressione e tutte quelle possibili ed eventuali problematiche che possono affliggere quotidianamente una persona; ovviamente l’ortoterapia non è una terapia esclusiva e autosufficiente, ma uno strumento che si deve abbinare a cure mediche e quanto altro richiesto dal percorso sanitario di ogni singolo caso specifico, ma che può contribuire tuttavia, al benessere complessivo di una persona.

Il rapporto con la natura è di per sé già terapeutico. Nonostante ciò nel contesto penitenziario e non solo, lavorare con la natura può avere numerosi benefici come:

  • Sviluppo della motricità: Il seminare, potare, raccogliere frutti e verdure e le tante altre attività a contatto con la terra, l’erba, l’aria, stimolano il movimento aiutando anche il coordinamento occhi-mani-braccia, incrementano la forza e la resistenza;
  • Miglioramento delle capacità di apprendimento: Apprendere il nome di alcune piante, le loro caratteristiche, la periodicità delle stagioni e le tempistiche adatte per la semina e il raccolto, preparare lo spazio dell’orto ecc. Sono attività che potenziano la capacità di apprendimento stimolando concentrazione, capacità logiche e memoria;
  • Rafforzamento dell’autostima: Il soggetto ha un ruolo principale in questa esperienza creativa/educativa e solo grazie al suo impegno e dedizione si possono vedere concretamente i frutti del suo lavoro. La realizzazione effettiva di un progetto aiuta il senso di autoefficacia e la consapevolezza che nonostante la situazione svantaggiata, un progetto anche se minimo, è comunque realizzabile. Inoltre il contatto diretto con la natura e la terra permettono al soggetto di apprendere abilità che consolidano la sua percezione positiva delle cose;
  • Favorire la socializzazione: Questo genere di attività consente al soggetto di prendere parte a un gruppo di lavoro dove si realizzano obiettivi comuni e si svolgono attività insieme ad altri ripartendo spazi, strumenti, fini ed obiettivi;
  • Riconoscere e gestire le emozioni: L’ortoterapia dà la possibilità al soggetto di esprimere le tensioni ed emozioni mediante la motricità, imparando a gestire le sensazioni, gli stati d’animo;
  • Orientare al mondo del lavoro: Questi percorsi danno la possibilità di ottenere capacità e metodi di lavoro utili per poter poi cimentarsi in attività professionali inerenti alla natura, alla lavorazione della terra e alla raccolta dei suoi frutti.

(http://www.naturanakupenda.net/1/ortoterapia_720099.html)

Da questi molteplici e variegati benefici, si può intendere come le attività rieducative a contatto con la natura possano favorire e tirar fuori l’essenza terapeutica naturale dei luoghi “verdi”.

Infatti, la cura dell’orto implica il prendersi cura non solo di prodotti vegetali, ma anche della salute delle persone, in questo caso specifico, detenute.

Avere la possibilità di un’occupazione specialmente nel contesto penitenziario, in cui il concetto del “tempo” diventa labile e sembra fermarsi, produce salute mentale, proprio per questo è importante che negli istituti penitenziari venga data la possibilità di professionalizzarsi, imparare un lavoro, studiare, o cimentarsi in attività ludiche, ricreative e rieducative in modo che chi sconta la pena possa ristrutturare e fortificare la fiducia in sé stesso, negli altri, non lasciando che il tempo passi inesorabile e privo di cambiamenti.

Quali sono i rischi di rimanere nell’inattività?

Beh… Il non avere stimoli quotidiani, il non avere nessuna operosità mentale o manuale, ma come unico interesse e svago lo sperare ed aspettare che il tempo passi, non aiuta il soggetto poiché rimane con sé stesso e amplifica i pensieri ansiosi, ossessivi, depressivi ruminando inadeguatamente sulla propria vita, su ciò che ha sbagliato, su ciò che poteva evitare e su ciò che non potrà mai cambiare, alimentando ogni momento di più la propria frustrazione.

L’inattività può portare a una cronicizzazione di pensieri e comportamenti che saranno poi probabilmente riproposti appena scontata la pena.

Pertanto cimentarsi in attività variegate nel periodo di arresto in carcere, può evitare fissazioni disfunzionali che hanno portato l’individuo a compiere il reato per cui è stato condannato.

(http://www.repubblica.it/solidarieta/dirittiumani/2016/12/27/news/l_importanza_del_lavoro_come_riabilitazione_in_carcere-154947101/)

CONCLUSIONI

Da ciò che è emerso in questo breve articolo, il rapporto con la natura anche nei contesti più svantaggiati e proibitivi è essenziale per il nostro benessere psicofisico.

Prendere una boccata d’aria, il manipolare terra, il cimentarsi in qualcosa di costruttivo, organizzando e pianificando azioni e tempistiche per arrivare ad un obiettivo è senza dubbio il rimedio più antico e naturale per dare tregua al nostro cervello.

Nel contesto penitenziario sono spesso troppo pochi i momenti ludico/ricreativi, forse perché si ha lo stereotipo sociale che chi è in carcere deve solo soffrire e vivere con il minimo, al fine di apprezzare ciò che ha rubato o perso.

In realtà coloro che vivono in carcere hanno una grande punizione, ovvero lasciare che la propria vita viva e scorra, senza poterla vivere realmente.

Far prendere parte ai detenuti ad iniziative come l’ortoterapia, arteterapia ecc. può aiutarli a rieducarli come persone in grado successivamente di reinserirsi socialmente avendo più controllo e gestione di sé, evitando così, di alimentare pensieri e comportamenti negativi che sono prepotenti in una persona che viene da una cultura svantaggiata, ha avuto una vita difficile o semplicemente sente mancarsi la terra sotto i piedi dopo anni e anni in mura che ti cambiano, ti dividono dal mondo e dalle persone che amavi e ti fanno perdere il senso del tempo.

L’ortoterapia in carcere, come tutte le altre attività rieducative possono aiutare la persona detenuta a non lasciarsi soverchiare dalla parte oscura di sé, incattivendosi.

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About Author

Sono una psicologa clinica abilitata alla professione. Ho conseguito la Laurea triennale presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, nella facoltà di Scienze dell’Educazione e in seguito ho ottenuto la Laurea Magistrale presso la stessa Università, laureandomi in Psicologia clinica e di comunità. Ho svolto l’anno di tirocinio post-laurea presso il Servizio Psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) e il Servizio di prevenzione del suicidio (SPS) nell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea; e presso il Ser.D dell’ASL Roma B all’interno della casa di reclusione di Rebibbia. Sono motivata nel proseguire il mio percorso formativo sia nell’ambito della Psicologia Giuridica, che nell’ambito della psicoterapia, dove in un futuro prossimo, mi appresterò ad iniziare una scuola di psicoterapia ad approccio Strategico Breve.

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