Quando i minori sono detenuti

Nascita ed evoluzione della giustizia minorile

Il sistema penale minorile è il risultato di grandi processi e lunghe battaglie civili all’interno della società di allora, al fine di riconoscere la specificità di tale condizione minorile. Proprio per questo – e per continuare a tutelare il minore nonostante il reato commesso – la politica, in particolare il diritto penale, ha cercato di costruire un sistema di diritto rigido ma comunque differenziato, inserendo come punto cardine il diritto all’educazione.

Nonostante ciò, nel corso degli anni la legislazione penale dei minori è sempre stata oggetto di studio e di osservazione per andare incontro ad una società sempre più organica e soggetta continuamente a cambiamenti e miglioramenti. Il diritto minorile ha una natura storica risalente al lontano Illuminismo, periodo nel quale il minore che commetteva un reato veniva definito come “soggetto moralmente traviato” e sottoposto a pene molto crudeli, prima tra cui la pena di morte con la decapitazione.

Nel corso della Rivoluzione Illuminista, però, l’essere umano acquisiva sempre più considerazione e valenza, perciò si decise di ricostruire i parametri giudiziari riducendo il potere del sovrano che, attraverso rigide pene, affermava la sua supremazia. L’impegno dei teorici illuministi infatti, fu proprio quello di porre dei limiti al sovrano e di ridimensionare le pene previste. L’Illuminismo ebbe un forte impatto sulla società futura: pose le basi per una revisione dei modi tradizionali di concepire la pena e portò alla nascita della Scuola Classica.

La Scuola Classica sorse grazie alle teorie di Cesare Beccaria alla fine del XIX secolo. La teoria che sottostava alla Scuola classica trovava il fondamento nel libero arbitrio: la giustizia attribuiva alla pena una funzione meramente retributiva. Successivamente, alla fine dell’800 fecero la loro comparsa nel mondo inglese organi giudiziari che si occupavano prettamente del mondo minorile. Ciò avvenne anche grazie alle dottrine di Marx, che condannò lo sfruttamento minorile, e Freud, per la sua scoperta psicologica sul bambino.

Col passare degli anni, la giustizia si sensibilizzò in maniera sempre più profonda, al fine di considerare il minore in una maniera completamente diversa da quella per cui veniva considerato un adulto. Di fatto, si arrivò alla convinzione che non bastava riservare solo un trattamento legislativo differente, ma occorreva cambiare anche la struttura del tribunale che, in sede di processo, avrebbe condannato poi il minore.

In Italia solo nel tardo 1934 viene istituito il primo Tribunale per Minori, nonostante già agli inizi del Novecento, esistessero associazioni di volontariato composte da persone di alta borghesia che si proponevano per l’affidamento e la successiva tutela dei giovani minori condannati. Nel 1934, anno in cui il Fascismo aveva in Italia il pieno potere, nacque il Code Minorile Fascista.

Ad oggi i carceri minorili in Italia sono diversi, nei quali prevalgono soggetti sociali considerati più “fragili”: immigrati, Rom, giovani provenienti da aree geograficamente degradate. L’esistenza dei carceri minorili garantisce ai più piccoli che hanno commesso reati un luogo in cui sentirsi al sicuro anche se nello stesso tempo si sta scontando una pena (Rugi, C. 2000 http://www.adir.unifi.it/rivista/2000/rugi/cap1.htm).

La vita in un carcere minorile

Nella realtà italiana – fortunatamente – i numeri dei ragazzi detenuti sono su un livello medio-basso. Ciò permette agli educatori che operano all’interno di carceri minorili di proporre progetti e di avere attenzioni educative individuali che non hanno paragoni con la realtà vissuta all’interno delle carceri per gli adulti, dove il numero dei detenuti è nettamente superiore a quello del carcere minorile.

Questo dato positivo permette a chi lavora all’interno di un carcere minorile di conoscere ad uno ad uno i ragazzi detenuti e di essere al corrente dei loro bisogni individuali o di particolari esigenze. E’ così che nasce un sentimento di empatia da parte degli educatori che prendono a cuore le storie di ognuno di loro, tra immigrati rifugiati e ragazzini cresciuti in quartieri degradati, abituati a stare fin da piccolissimi nella strada.

I reati commessi dai giovani detenuti in un carcere minorile sono molti, ma possono essere raggruppati in 4 macro-categorie:

  1. Coloro che hanno commesso un reato nei confronti di un soggetto avente alta rilevanza sociale
  2. Ragazzi immigrati privi di ogni riferimento affettivo all’esterno e lasciati alla mercè dell’illegalità
  3. Detenuti recidivi con stili di vita non legali
  4. Detenuti oppositivi che rendono difficile la loro permanenza stabile nei carceri minorili.

La domanda che ci si pone più spesso, specialmente chi è estraneo a tale realtà, è: “Come è la vita all’interno di un carcere minorile?”.

Come sopracitato, la vita e la storia di ogni minore all’interno del carcere minorile è diversa da un altro soggetto ugualmente detenuto. Storie e vissuti sono completamente differenti l’uno dall’altro e ognuna richiede un’attenzione psicologica particolarmente elevata. Di conseguenza, qualsiasi tipo di semplificazione trattamentale deve essere evitato, al fine di non cadere nell’errore di essere troppo superficiali.

La rissa, l’aggressione, i tentati suicidi che degenerano dentro un carcere minorile sono e possono essere considerati “pane quotidiano”; si tratta sempre di giovani ragazzi, molto spesso nel pieno della loro adolescenza, che non hanno solidi riferimenti esterni e rabbiosi, di conseguenza sfogano il loro malessere aggredendo il prossimo o se stessi.

In tutti i carceri minorili la detenzione comune tra adolescenti e giovani adulti è vietata: i giovani adulti sono facilmente più gestibili in quanto conoscono già cosa significhi stare dentro un carcere minorile e non hanno bisogno di rimproveri continui. Gli adolescenti, invece, sono un mix tra rabbia e disagi adolescenziale, tale per cui è necessaria un’attenzione peculiare rispetto ai più grandi.

E’ inevitabile allora – in questo contesto – parlare della sessualità negata all’interno del carcere minorile. Purtroppo ancora oggi, parlare di sessualità all’interno di un carcere minorile è quasi un tabù. Vengono effettuati, ma raramente, progetti inerenti l’educazione sessuale, ma niente di più. La sessualità rimane un argomento quasi estraneo a questi ragazzi che si trovano all’interno di un carcere molto prima di scoprire i loro bisogni più intimi ed imparare a conoscere il proprio corpo. (Gonnella, P., Marietti, S., 2017 http://www.ragazzidentro.it/it/rapporto-2017/approfondimenti/in-giro-per-le-carceri-minorili-d-italia/)

Riabilitarsi in carcere: istruzione e attività

 La routine quotidiana all’interno dei carceri minorili è quasi sempre scandita da tempi ben precisi: sveglia alle 8, attività scolastiche dalle ore 9.00 alle 12.00 con una piccola pausa come “ricreazione”, pranzo, attività dalle ore 15.30 fino al rientro in cella.

Le attività scolastiche e ricreative sono utili al fine di creare e di rendere disponibili strumenti cognitivi, emotivi e sociali che permettono al detenuto di superare la propria antisocialità e di imparare a condividere cose e pensieri con chi ha intorno. La risocializzazione, infatti, è fondamentale poiché aiuta a rinforzare quelle capacità di saper stare in società e di acquisire una propria identità sociale che avrà piena espressione una volta che il minore si troverà fuori dal carcere.

Le attività di gruppo sono quelle che vengono più promosse: giochi di squadra come basket, calcio, pallavolo, aiutano i ragazzi detenuti a saper stare in competizione senza dover per forza ricorrere alla violenza, aiutano loro a fare gioco di squadra, a saper contare sull’altro. Vengono promossi poi progetti come quelli di fare musica e scrivere canzoni, per permettere loro di mettere nero su bianco i pensieri, le frustrazioni, dando vita a canzoni che pullulano di paure e ansie per il futuro.

Si tratta di attività che aiutano i giovani detenuti nel carcere minorile a fare squadra ma non essere troppo competitivi, a contare sull’altro, a prendere coscienza che il mondo non è così oscuro come loro pensano, ma un posto bello da condividere con le persone giuste.

Vivere in carcere ha il suo vero valore solo se il percorso “punitivo” aiuta il giovane ad essere rieducato e risocializzato, rendendolo consapevole della gravità del reato commesso per essere poi inserito nuovamente nella società con un ruolo più partecipativo ma soprattutto più responsabile.

Riferimenti bibliografici

Silvano, C. (2012), Liberi Reclusi. Storie di minori detenuti. Padova: Camposampiero.

Affinati, E. (2008), La città dei ragazzi. Milano: Mondadori.

Anastasia, S., Gonnella, P., Inchiesta sulle carceri italiane. Roma: Carocci.

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Frequento il secondo anno di triennale presso la Lumsa. Attualmente sto frequentando un tirocinio volontario presso l’ISP. Il mio obiettivo è quello di specializzarmi in Psicologia Giuridica nell’ambito del penale.

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