La necessità più antica del mondo: Viaggiare!

In questo articolo si vuole parlare di quanto siano utili i viaggi per la nostra felicità e di quanto abbiano effetti benefici sui nostri neuroni e sulla comprensione che abbiamo del mondo e di noi stessi.

La storia ci insegna che siamo viaggiatori per indole, siamo dei girovaghi e lo eravamo anche in passato: non c’è cosa per noi più naturale che ricercare cieli diversi e spaziare avventurosamente in terre nuove.

Per questa ragione si può dire che: “Siamo progettati per viaggiare”.

La storia della civiltà umana ha da sempre conosciuto grandi spostamenti che hanno permesso l’intreccio di usi, costumi, religioni, tradizioni e conoscenze tra popolazioni lontane, favorendo metamorfosi sostanziali nella cultura e nella tecnologia.

Viaggiare non ci permette solo di intersecare la nostra cultura con quella di altri luoghi e persone, bensì comporta benefici emotivi, psicologici e biologici per la nostra persona. (https://www.aviationcoaching.com/perche-viaggiare-e-importante-per-i-neuroni-e-la-felicita/)

Viaggiare fa la felicità: i benefici

Al giorno d’oggi è un luogo comune pensare che “i soldi facciano la felicità”, questo è in parte vero, poiché avere qualche risparmio da parte può facilitare i nostri progetti e agevolarne la loro realizzazione; tuttavia, è scientificamente provato che anche viaggiare contribuisce sostanziosamente alla nostra felicità.

Le ricerche lo dimostrano: lo psicologo inglese H. Gardner in un suo studio ha confrontato il livello di soddisfazione di chi aveva riscosso una vincita di 50 mila sterline alla lotteria, con quello di chi aveva viaggiato o era stato in vacanza più volte durante l’anno; dai risultati, il secondo soggetto sperimentale, risultava essere più felice e soddisfatto.

Ma perché? Quali sono i benefici del viaggio sul nostro cervello?

La scienza lo spiega, sostenendo che viaggiare comporta un aumento delle connessioni neuronali che rendono il cervello più attivo ed efficiente.

Difatti, viaggiare dà la possibilità di sperimentare luoghi nuovi, assaggiare cibi, imparare altre lingue, ecc., tutte attività che costruiscono nuove connessioni nel cervello e lo sollecitano biologicamente, plasmandolo.

Coerentemente con questo, il ricercatore Michael Valenzuela dell’Università di Sydney ha scoperto esaminando l’encefalo di 329 persone che: chi ha la possibilità di viaggiare molto, ha una maggiore densità di neuroni in alcune zone cerebrali; infatti, il cervello durante un viaggio viene continuamente messo alla prova da immagini, profumi, sapori, emozioni differenti che lo attivano e amplificano le sue caratteristiche di efficienza e plasticità, contribuendo così alla felicità della persona e alla sua dinamicità cerebrale.

Tuttavia, non è solo la funzionalità cerebrale che gode di questi benefici, ciò vale anche per le capacità mnemoniche, come dimostrato da Gary Small dell’Università di Los Angeles; in una sua ricerca si è visto come anche la memoria risente positivamente nell’esperienza del “viaggio”, poiché viaggiare migliora la performance della corteccia cerebrale dorsolaterale, impegnata nei processi interessanti la memoria a lungo termine. (https://www.yumpu.com/it/document/view/27105373/focus-italia-n-262-agosto-2014).

Insomma, uscire dalla routine quotidiana fa bene! Ci permette di staccare la spina e goderci un po’ di spensieratezza, allontanandoci dai nostri schemi spesso pianificati alla perfezione che ci rendono spesso schiavi delle nostre giornate, diminuendo il nostro livello di felicità e aumentando i livelli di stress quotidiano.

A proposito di stress, è stata condotta una ricerca da alcuni studiosi dell’Università di Portland i quali hanno deciso di far vivere, a ex soldati che a causa del loro servizio militare offerto in situazioni di continua emergenza hanno sviluppato il Disturbo da Stress Post-traumatico (PTSD), tre giorni in campagna, lontani dalla città e con attività di puro divertimento e relax.

Quali sono stati i risultati? Si sono notati grandi miglioramenti sui livelli di ansia, sonno, umore e sintomi del PTSD che erano notevolmente ridotti in modo duraturo nel tempo. (https://www.yumpu.com/it/document/view/27105373/focus-italia-n-262-agosto-2014).

E i benefici psicologici?

La persona nel viaggio si regala momenti diversi, nuovi, da scoprire e far propri che la distaccano dalla monotona visione delle cose e della vita; questa “boccata d’aria”, contribuisce alla felicità: il viaggio, infatti, arricchisce interiormente la persona, bombardandola di nuove esperienze e stimolando la sua creatività.

Inoltre, viaggiare aiuta anche chi ha scarsa autostima: “secondo gli studiosi viaggiare migliora il senso di controllo sulla propria vita, incrementa la capacità di entrare in relazione con gli altri e modifica perfino la propria scala di valori (questioni riguardanti la famiglia, gli amici, le aspirazioni personali aumentano di importanza rispetto a quelle legate al lavoro)”.

(https://www.yumpu.com/it/document/view/27105373/focus-italia-n-262-agosto-2014)

Un altro studioso Jeroen Nawijn, ha studiato la correlazione più specificatamente tra felicità e viaggi, scoprendo che viaggiare fa sentire le persone più soddisfatte della propria giornata per il 20% in più rispetto a chi non viaggia.

L’appagamento cresce dal secondo giorno di viaggio in poi fino al penultimo giorno prima della partenza. Nel penultimo giorno la soddisfazione decresce drasticamente, forse per il più prossimo rientro a casa.

Un altro dato curioso di questa ricerca è che un viaggio da 3 a 6 giorni consente un buon miglioramento dell’umore. Quindi si potrebbe ipotizzare che fare vacanze più brevi, ma più frequenti piuttosto che lunghe e isolate, sia più produttivo ed efficace per generare relax, serenità e appagamento. Essere spesso sollecitati, permette di tenere alti i nostri livelli di curiosità, vitalità e imprevisto.

(https://www.yumpu.com/it/document/view/27105373/focus-italia-n-262-agosto-2014)

Wanderlust: La voglia di viaggiare è racchiusa in un gene del nostro DNA

Non siamo tutti uguali, ci sono i pigri che stanno bene a casa propria, nella propria città, e chi, al contrario, non riesce a stare fermo, sempre con la valigia pronta.

Questo amore smisurato ed inesauribile per i viaggi ha un nome, ovvero “wanderlust”.

Secondo recenti scoperte scientifiche, tutto ciò andrebbe ricollegato a un gene nel nostro DNA.

La voglia ininterrotta di viaggiare è connessa all’azione del gene DRD4, che è associato ai livelli di dopamina nel cervello.

Il gene in realtà è chiamato DRD4-7R, il quale è stato rinominato “gene della Wanderlust”, grazie alla sua correlazione con grandi livelli di curiosità e irrequietezza che spingono la persona ad agire compiendo azioni che soddisfino il bisogno chimico proposto dal cervello.

(https://www.deejay.it/news/wanderlust-lirresistibile-desiderio-di-partire-e-racchiuso-in-un-gene-del-nostro-dna/423715/?refresh_ce);

(https://psychologyblogaimee.wordpress.com/2013/12/04/wanderlust-a-genetic-basis-to-a-globetrotting-fanatic/?ref=DJ-D-L-CC-1)

Conclusioni

Si dice che “chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona di quando è partito”. Viaggiamo perché abbiamo un’inclinazione istintuale che ci motiva alla crescita, alla conoscenza, al metterci alla prova ed a misurarci con i nostri livelli di adattamento. Ciò può sembrare unicamente un bisogno primordiale, antico. In realtà il viaggiare, lo stare a contatto con il mondo, la natura, gli animali, persone diverse, ambienti sconosciuti e forse solo visti nei film o nelle cartoline, contribuisce al nostro benessere, alla nostra felicità, al nostro umore più sereno, proattivo e reattivo, riducendo notevolmente i livelli di stress e ampliando resilienza e soddisfazione di ognuno.

Viaggiare aiuta sia emotivamente che psicologicamente la persona ad uscire dalla sua troppo quotidiana “zona di confort”, stimolando il cervello ad attività creative, piacevoli e inaspettate che permettono di essere più felici.

Il viaggiare è solo uno dei milioni di modi attraverso cui la natura ci aiuta ad essere migliori.

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About Author

Sono una psicologa clinica abilitata alla professione. Ho conseguito la Laurea triennale presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, nella facoltà di Scienze dell’Educazione e in seguito ho ottenuto la Laurea Magistrale presso la stessa Università, laureandomi in Psicologia clinica e di comunità. Ho svolto l’anno di tirocinio post-laurea presso il Servizio Psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) e il Servizio di prevenzione del suicidio (SPS) nell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea; e presso il Ser.D dell’ASL Roma B all’interno della casa di reclusione di Rebibbia. Sono motivata nel proseguire il mio percorso formativo sia nell’ambito della Psicologia Giuridica, che nell’ambito della psicoterapia, dove in un futuro prossimo, mi appresterò ad iniziare una scuola di psicoterapia ad approccio Strategico Breve.

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