La criminalità ambientale non dorme mai: ogni ora in Italia si annoverano tre ecoreati, crimini contro il nostro patrimonio naturale e contro gli animali, illeciti compiuti nei settori più disparati dalla filiera agroalimentare al ciclo dei rifiuti.

Nonostante il calo complessivo dei reati nel 2015, cresce l’incidenza degli illeciti nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), dove se ne sono contati ben 13.388, il 48,3% sul totale nazionale (http://www.rinnovabili.it/ambiente/ecomafia-2016-reati-ambientali/).

Il popolo italiano, ma non solo, negli ultimi anni ha dovuto fare i conti con l’effetto dei crimini ambientali, ritrovandosi faccia a faccia con le conseguenze a cui scempi e noncuranza ambientali hanno portato. Tutto ciò, chiaramente, ha intaccato il benessere del Paese, danneggiando le risorse ambientali, nonché la salute dei cittadini.

L’Ecomafia: dallo smaltimento dei rifiuti al traffico di opere d’arte

Negli ultimi anni si è sentito spesso parlare di Ecomafia, termine che racchiude in sé quei fenomeni di illecito ambientale diffuso, che si identificano principalmente nel ciclo di rifiuti, nel ciclo di cemento, nel racket degli animali, nel traffico di beni archeologici.

Lo smaltimento illegale di rifiuti industriali è il più pericoloso campo d’attività delle ecomafie e uno tra i business illegali più redditizio.

I reati in questo campo possono avvenire in ogni fase del ciclo: produzione, trasporto e smaltimento. L’azienda può dichiarare il falso su quantità o tipologia di rifiuti da smaltire, per dirottare il carico o farlo sparire, oppure affidare l’operazione a imprese che lavorano sottocosto sapendo che utilizzeranno metodi illeciti.

Il nostro Paese è anche il crocevia di traffici internazionali di rifiuti pericolosi e materie radioattive provenienti da altri Paesi e destinati a raggiungere le coste dell’Africa e dei paesi asiatici.

Il cosiddetto ciclo del cemento rappresenta, invece, tutte quelle opere di abusivismo edilizio che tralasciano completamente le norme di costruzione sul territorio, aggravando il già fragile sistema idrogeologico italiano.

A Roma e a Napoli sono oltre 100.000 i cittadini che vivono o lavorano in zone a rischio, poco meno di 100.000 anche le persone in aree a rischio nella città di Genova. Inoltre, nonostante i rischi ormai evidenti, nelle città di Roma, Trento, Genova e Perugia anche nell’ultimo decennio sono state realizzate nuove edificazioni in aree a rischio (https://www.legambiente.it/contenuti/comunicati/legambiente-presenta-ecosistema-rischio-2016-monitoraggio-sulle-attivita-nelle-).

Commercio illegale di specie protette, abigeato, bracconaggio, allevamenti illegali, pesca di frodo e combattimenti clandestini, sono solo alcune delle attività criminali riguardanti il racket degli animali messe in atto dalle organizzazioni mafiose. Il sistema criminale è articolato: dalle scommesse sui cavalli, al bracconaggio (volatili, lupi e orsi, rinoceronti, elefanti), all’utilizzo di animali come corrieri della droga. C’è poi il commercio di cuccioli di cani e gatti dall’Est, un mercato che, purtroppo, frutta circa 300 milioni di euro l’anno.

Alla morsa ecocriminale non sfuggono nemmeno i nostri tesori culturali. Il traffico di beni culturali consiste nella sottrazione e detenzione illecite di opere del patrimonio culturale, ad esempio oggetti aventi un valore artistico, storico o archeologico per un paese specifico.

Le organizzazioni criminali che operano nel mercato dell’arte si avvalgono di figure con competenze in campi diversi, dai cosiddetti “tombaroli”, che effettuano scavi abusivi e trafugano oggetti dai siti; agli intermediari, che si occupano di “piazzare” gli oggetti trafugati; ai ladri, che spesso agiscono su commissione; ai corrieri, che trasportano gli oggetti da un luogo all’altro; al personale doganale corrotto, che agevola la fuoruscita illecita dei beni culturali dal territorio dello Stato; agli esperti d’arte, che effettuano la stima dei beni; ai falsificatori, che si occupano della contraffazione di attestati di autenticità e di provenienza; ai mercanti d’arte, che hanno rapporti diretti con musei e collezionisti di tutto il mondo, fino a considerare la compiacenza delle istituzioni politiche e amministrative dei Paesi presso cui i beni sono illecitamente esportati (http://www.huffingtonpost.it/flavia-zarba/traffico-illecito-di-beni-culturali-crepe-normativa_b_7843934.html).

Tutte queste attività si condensano in un fenomeno deviante ancorato a livello sociale non tanto a soggetti malavitosi, quanto a titolari di aziende, imprenditori, commercianti ed addetti alla Pubblica Amministrazione, che si uniscono al fine di lucrare attraverso una costante violazione delle leggi ambientali.

Conclusione

Negli ultimi decenni la criminalità mafiosa si è ulteriormente modernizzata e si è fatta meno spettacolare: sembra aver adottato un profilo di minore visibilità atto a creare un clima di “normalizzazione” in cui potersi muovere in maniera indisturbata. Un esempio di questa scelta è l’eco-business che si concretizza il più delle volte nello smaltimento illegale dei rifiuti, nell’abusivismo edilizio, nel racket degli animali e nel commercio illecito di beni culturali. Il fenomeno, agevolato da indubbie lacune legislative e normative, sia a livello nazionale che internazionale, ha raggiunto una dimensione tale da rendere ingiustificabile una sua sottovalutazione.

In conclusione, manca, soprattutto, una diffusa e profonda sensibilità sociale verso tali crimini. Il fatto che si tratti di reati in cui la vittima è l’intera collettività, invece di rafforzare la disapprovazione delle persone, produce l’effetto opposto di far sentire il problema distante dall’interesse di ognuno di noi, facendoci dimenticare che il territorio costantemente maltrattato ed usurpato, è i territorio di ciascuno di noi.

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About Author

Sono nata a Roma il 15/11/1992 e ho conseguito la Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e di Comunità presso l'Università Pontificia Salesiana, dove lavoro anche come assistente. Sono una Psicologa Clinica, Esperta in Dipendenze, iscritta alla Scuola di Psicoterapia ad Approccio Strategico Breve (ISP).

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